Il giorno del ricordo

Il 10 febbraio ricorre il "Giorno del ricordo", istituito dal Parlamento italiano con la legge 30 marzo 2004, n. 92, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell'esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra.
Per celebrare il "Giorno del ricordo" la legge prevede l'organizzazione, da parte delle scuole, di iniziative volte a diffondere la conoscenza dei tragici eventi che costrinsero centinaia di migliaia di Italiani, abitanti dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, a lasciare le loro case, spezzando secoli di permanenza continuativa in quei territori.
La scuola, che è il luogo della conoscenza e dell'istruzione, ha anche l'alto compito di formare i giovani per la vita, di favorire lo sviluppo del senso civico, di educarli ai valori della cittadinanza, della pace e della solidarietà.
La celebrazione del giorno del ricordo, recuperando una parte della storia del popolo italiano, può essere l'occasione per conoscere e per capire: conoscenza e comprensione sono infatti le basi da cui partire per sentirsi integralmente cittadini.
Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica.
Le scuole, pertanto, potranno impegnare i giovani in questo campo di ricerca per l'approfondimento, anche con il coinvolgimento delle Associazioni degli esuli, di un quadro storico, circostanziatamente documentato, che, tenendo conto della particolare situazione dell'Italia del dopoguerra, possa fornire un contributo di analisi e di studio di questi fatti.

IL MINISTRO
Giuseppe Fioroni

 


 

L'esodo istriano o giuliano-dalmata si verificò al termine della seconda guerra mondiale da Istria, Quarnaro e Dalmazia da parte della maggioranza dei cittadini di lingua italiana e di coloro che diffidavano del nuovo governo iugoslavo, in seguito all'occupazione di tali regioni da parte dell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia del Maresciallo Josip Broz Tito e alla conseguente assegnazione di questi territori, in seguito a trattati di pace, alla nuova Federazione Jugoslava.

I motivi politici erano soprattutto legati all'interesse jugoslavo per la zona, che erano stati chiaramante presenti sin dalla fine del XIX secolo. Per l'attuazione del programma di annessione di queste zone, espresso dal regime titoista nel 1943, la presenza italiana risultava più che scomoda. Per ottenere questo scopo il regime comunista di Tito procedette a eliminare velocemente la parte della popolazione più scomoda e a instaurare un clima di terrore mediante rappresaglie, processi sommari, infoibamenti e altri atti di violenza contro l'incolumità della persona, come succedeva anche nelle altre zone occupate dalle truppe titine. Chi rimaneva doveva fare i conti con l'angoscia di restare in territori non più italiani, sotto un regime repressivo, o addirittura di rimanere apolide. Inoltre lo stesso Stato italiano non garantiva protezione contro l'intolleranza o la discriminazione etnica; per questo un numero di persone, che secondo le divergenti stime degli storici si aggira tra le 150.000 e le 350.000 unità, fu costretto ad abbandonare i luoghi di residenza e le relative proprietà entro un breve lasso di tempo. La Commissione storico-culturale italo-slovena, formata nel 1993 dai rispettivi governi per chiarire alcune divergenti vedute sui contenziosi storici tra i due popoli, ha stimato, nel suo rapporto finale del 2000, il numero degli esuli tra i 200 e 300 mila (tra questi 27.000 dal territorio dell'attuale Slovenia), compresi però in un lasso di tempo che va dal 1943 al 1954.

Moltissimi profughi si stabilirono in Italia, soprattutto nel Nord-Est. Altri emigrarono in Europa e nel resto del mondo.
Tra gli esuli, insieme agli Italiani, vi furono anche Sloveni e Croati, cittadini già italiani, che non volevano, o potevano, vivere sottomessi alla dittatura d'ideologia comunista che si stava sviluppando in Jugoslavia: il loro numero fu comunque limitato e le stime solitamente non superano le decine di migliaia d'unità; secondo lo storico Raoul Pupo furono circa 20.000.
 

Foibe

Una foiba è una cavità carsica, solitamente di origine naturale (grotte), con ingresso a strapiombo. Le foibe sono diffuse soprattutto nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia già parte della scomparsa regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell'Istria e della Dalmazia.

Attualmente sono un argomento studiato sotto il punto di vista storico, per essere state nei secoli, ma in particolare durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra, luogo di occultamento dei cadaveri durante le repressioni avvenute nella città di Trieste e nelle regioni nord orientali italiane.

In questo contesto, sono genericamente indicate come foibe anche quelle che geologicamente non sono tali, come la foiba di Basovizza, che in realtà è un pozzo minerario.

Le foibe sono sempre state usate per occultare cadaveri in diversi periodi storici. Di rilievo il loro uso durante la prima guerra mondiale in sostituzione delle fosse comuni.

L'uso delle foibe come occultamento di cadaveri durante e alla fine della seconda guerra mondiale avvenne in due periodi.

Il primo, successivo all'8 settembre 1943, cioè all'Armistizio tra Italia e Alleati, si svolse in Istria e Dalmazia e uccise alcune centinaia d'italiani.

Il secondo, successivo alla fine della guerra, si svolse principalmente a Trieste tra l'1 maggio e il 12 giugno 1945 e a Gorizia nello stesso periodo, con l'uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe. La foiba più conosciuta, anche perché nel 1992 è stata dichiarata monumento nazionale, è quella di Basovizza (a pochi chilometri da Trieste, una delle poche foibe restate in territorio italiano). Questi baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: vendicarsi di nemici personali, magari per ottenere un immediato beneficio patrimoniale; dominare e terrorizzare la popolazione italiana delle zone contese; eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano alle politiche del maresciallo Tito.

Inoltre nel periodo in esame le foibe vennero usate anche per "seppellire" i cadaveri degli scontri fra i combattenti e talvolta anche dei morti nei bombardamenti.

Non esiste una cifra ufficiale delle vittime: ogni stima potrebbe essere errata sia per eccesso sia per difetto. Le stime vanno da 5.000 a 17.000 morti. Quest'assoluta imprecisione dipende da molti fattori. In primo luogo, il governo iugoslavo non ha mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero di decessi. D'altra parte per decenni il disinteresse è stato anche italiano, a causa delle controversie politiche che la questione poteva originare. A questi si è aggiunta la difficoltà oggettiva di recuperare i cadaveri da queste profondissime cavità naturali che hanno particolarissime configurazioni geologiche e la cui imboccatura spesso veniva demolita con l'esplosivo. Per gli storici italiani, che ovviamente son stati i primi e più attivi ricercatori, risulta impossibile stabilire la data dell'ultimo infoibamento essenzialmente per la mancanza di documenti che probabilmente neanche furono emanati dalle autorità iugoslave.

Dal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione dei morti e dei profughi italiani. La data del 10 febbraio 1947 ricorda il trattato di Parigi che assegnò alla Jugoslavia il territorio occupato nel corso della guerra dall'armata di Tito.